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La separazione è traumatica per i figli?

  • Immagine del redattore: Laura Cocozza
    Laura Cocozza
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

bambino con foglio che rappresenta separazione dei genitori

La separazione di una coppia con figli è sempre un evento delicato, spesso accompagnato da preoccupazioni, sensi di colpa e interrogativi profondi.


Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori – ma anche gli operatori, gli insegnanti, i nonni – è:


“La separazione danneggerà i bambini?”


In altre parole: è sempre traumatica per i figli?


La risposta, che può sorprendere, è: non necessariamente.



Cosa rende una separazione traumatica?


Una separazione non è di per sé un trauma. Può diventarlo – e talvolta lo diventa – quando è accompagnata da alcuni fattori critici:


  • Conflitto cronico e non gestito tra i genitori

  • Mancanza di dialogo o comunicazione svalutante

  • Coinvolgimento dei figli nei problemi della coppia (parentificazione, triangolazioni)

  • Instabilità materiale o emotiva (traslochi frequenti, incertezza sulla presenza dei genitori, rotture improvvise dei legami affettivi)

  • Assenza di una narrazione comprensibile e coerente per il bambino rispetto a ciò che sta accadendo


In questi casi, la separazione può assumere caratteristiche traumatiche, perché il bambino non trova un senso nell’evento, si sente esposto a tensioni che non è in grado di comprendere o gestire, e percepisce il venir meno di punti di riferimento fondamentali.



Quando la separazione non è un trauma


Al contrario, molti bambini affrontano la separazione dei genitori senza sviluppare disturbi psicologici significativi, e talvolta con un sollievo emotivo, soprattutto nei casi in cui la convivenza familiare era segnata da forti tensioni o da dinamiche disfunzionali.


La letteratura psicologica e psico-sociale ha identificato alcuni fattori di protezione che riducono il rischio di disagio nei figli:


  • Genitori che mantengono un dialogo costruttivo e si impegnano in una coparentalità collaborativa

  • Stabilità dei legami affettivi: il bambino continua a vedere e sentire entrambi i genitori, in modo regolare e prevedibile

  • Contesto educativo e relazionale di supporto: scuola, famiglia allargata, amicizie, attività extrascolastiche

  • Presenza di una narrazione chiara e rassicurante sul cambiamento in atto: “Papà e mamma non stanno più bene insieme, ma ti vogliono bene e saranno sempre con te”

  • Spazio per esprimere emozioni, dubbi, paure: bambini che possono parlare, piangere, fare domande sono bambini che elaborano



Non sono i fatti, ma come si vivono


In psicologia dell’età evolutiva e in ambito forense, è sempre più condiviso un principio fondamentale: non è il fatto in sé a creare sofferenza, ma il modo in cui viene vissuto, mediato e narrato.

Un bambino può affrontare con relativa serenità anche una trasformazione familiare complessa, se sente di non essere solo, se le figure adulte di riferimento rimangono presenti, coerenti, capaci di accogliere e contenere le sue emozioni.


In questo senso, si può dire che non è tanto la separazione a causare danni psicologici, quanto la qualità della relazione genitoriale che le sopravvive.

Il ruolo della psicologia forense: comprendere, non giudicare

Nel contesto delle Consulenze Tecniche d’Ufficio (CTU), degli affidamenti o delle mediazioni familiari, l’obiettivo non è stabilire se separarsi sia stato “giusto o sbagliato”, ma comprendere quali effetti questa separazione ha avuto sui figli e quali condizioni possono promuovere il loro benessere psicologico.


Le valutazioni forensi, in questo senso, si muovono su tre piani:


  1. Analisi del funzionamento di ciascun genitore (capacità di ascolto, disponibilità emotiva, stile educativo)

  2. Esplorazione delle dinamiche relazionali (conflitto, cooperazione, alleanze disfunzionali, triangolazioni)

  3. Osservazione diretta del minore e valutazione del suo stato psicologico (ansia, depressione, ritiro sociale, somatizzazioni, regressioni)


Il fine non è punire il “genitore sbagliato”, ma individuare le condizioni più favorevoli per una crescita sana del bambino, anche in un contesto di genitorialità separata.



Costruire una “buona separazione”: una possibilità reale


Una “buona separazione” non significa assenza di dolore o difficoltà. Significa capacità di contenere il dolore, di trasformare il conflitto in dialogo, di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e di proteggere i figli dalla guerra emotiva.


Significa anche accettare che i figli non devono scegliere, non devono diventare giudici, alleati, testimoni.Devono potersi fidare del fatto che, anche se la coppia si è interrotta, la funzione genitoriale continua a vivere.


In questa prospettiva, la separazione non è più solo una perdita, ma può diventare – anche per i figli – un’opportunità di crescita, maturazione e resilienza.



In conclusione


La separazione non è automaticamente un trauma per i figli.


Lo diventa quando viene gestita male, quando si dimentica che i bambini hanno bisogni diversi da quelli degli adulti, quando il conflitto prevale sulla responsabilità genitoriale.


Ma con consapevolezza, aiuto professionale e cura, è possibile attraversare questa fase in modo sano, costruendo un nuovo equilibrio affettivo in cui i figli possano continuare a sentirsi amati, protetti, e liberi di crescere.


PsyLex – Psicologia giuridica, forense, evolutiva

Interventi mirati per il benessere dei minori e la tutela delle relazioni familiari

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