top of page

Affido condiviso: cosa significa davvero e cosa comporta

  • Immagine del redattore: Laura Cocozza
    Laura Cocozza
  • 2 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 5 giorni fa



Quando una coppia con figli decide di separarsi o divorziare, la domanda più importante diventa spesso: “Cosa accadrà ai bambini?


In Italia, la risposta più comune è: affido condiviso.


Ma cosa implica davvero questa espressione, spesso fraintesa? Vediamolo da vicino, integrando la prospettiva giuridica e quella psicologica.



Cosa si intende per “affido” in ambito giuridico


L’affidamento dei figli (art. 337-bis e ss. c.c.) riguarda la titolarità e l’esercizio della responsabilità genitoriale, ovvero la capacità e il dovere di prendersi cura del figlio in ogni aspetto: scelte educative, sanitarie, scolastiche, religiose e relazionali.


Con l’introduzione della Legge 54/2006, l’ordinamento italiano ha sancito il principio che, anche in caso di separazione o divorzio, entrambi i genitori devono restare presenti e attivi nella vita dei figli, salvo che questo non sia contrario al loro interesse.



Affido condiviso ≠ Collocamento paritetico


Uno dei malintesi più diffusi è pensare che “affido condiviso” significhi che i figli vivranno metà del tempo con ciascun genitore.


In realtà, l’affido riguarda la responsabilità genitoriale, mentre il collocamento si riferisce a dove e con chi il minore vive prevalentemente.


Quindi, si può avere affido condiviso anche se il bambino vive stabilmente con un genitore e vede l’altro con una certa regolarità.


Il Giudice può disporre una residenza abituale presso un genitore (detto “collocatario”) e regolare frequentazioni, tempi e modalità di visita con l’altro genitore, valutando:


  • età e bisogni del minore,

  • distanza tra le abitazioni dei genitori,

  • disponibilità lavorative,

  • capacità di cooperazione.



Come funziona nella pratica: decisioni e responsabilità


L’affido condiviso implica che le decisioni rilevanti per la vita del figlio devono essere assunte congiuntamente dai genitori.


Tra queste:

  • scelta della scuola;

  • orientamento religioso;

  • decisioni mediche importanti;

  • attività sportive ed extrascolastiche impegnative;

  • cambi di residenza rilevanti.


In caso di disaccordo, il Giudice può essere chiamato a decidere, ma questa è l’estrema ratio: la legge punta sulla capacità dei genitori di dialogare, pur nella separazione.



Affido condiviso e benessere dei figli: la prospettiva psicologica


Dal punto di vista psicologico, l’affido condiviso può favorire la continuità affettiva e la stabilità emotiva, se attuato in un clima cooperativo.


I minori traggono beneficio quando percepiscono:


  • la presenza attiva e non intermittente di entrambi i genitori;

  • la congruenza educativa, ovvero messaggi coerenti e non contraddittori;

  • l’assenza di strumentalizzazioni o conflitti aperti.


Tuttavia, non sempre l’affido condiviso è la soluzione migliore. In situazioni di:

  • conflitto grave e cronico,

  • violenza domestica,

  • manipolazione o denigrazione di un genitore sull’altro (es. alienazione),

  • disinteresse o incapacità manifesta di uno dei due genitori.


il Giudice può disporre un affido esclusivo, oppure una forma attenuata di affido condiviso (es. con prevalenza decisionale a uno dei due genitori su alcuni aspetti).



Affido condiviso: vantaggi e criticità

Vantaggi

  • Rafforza la relazione con entrambi i genitori.

  • Riduce la percezione di perdita o abbandono.

  • Incentiva la cooperazione e la corresponsabilità.

  • Promuove il principio di eguaglianza genitoriale.

⚠️ Criticità

  • Richiede una comunicazione funzionale e costante.

  • Può esacerbare i conflitti in assenza di un clima collaborativo.

  • Se usato rigidamente (es. turnazioni paritarie imposte), può risultare disorientante per i figli.

  • Non tutela adeguatamente in caso di asimmetrie reali di competenze, risorse o disponibilità tra i genitori.



Affido condiviso e genitorialità responsabile


Il vero significato dell’affido condiviso non è “dividersi i figli”, ma condividere il compito di guidarli nella crescita.


Questo richiede:

  • disponibilità a mettere da parte il conflitto personale,

  • riconoscere l’altro genitore come rilevante per il figlio,

  • assumersi la responsabilità quotidiana, anche in assenza di gratificazione immediata.


In alcuni casi, può essere utile ricorrere a percorsi di:

  • mediazione familiare,

  • coordinazione genitoriale,

  • consulenze psicologiche individuali o di coppia genitoriale, per favorire una transizione sana alla “coparentalità”.



Conclusione

L’affido condiviso non è una formula magica, ma un progetto relazionale ed educativo che richiede impegno, maturità e, spesso, supporto.


Comprenderne il significato profondo aiuta i genitori – e i professionisti che li affiancano – a superare semplificazioni dannose e a costruire soluzioni realmente orientate al benessere dei figli.


Comments


bottom of page