La verità emotiva in Tribunale: che cos'è?
- PsyLex

- 20 mag
- Tempo di lettura: 4 min

Quando si entra in un’aula di Tribunale, ci si aspetta che la verità emerga con chiarezza: chi ha fatto cosa, quando, e con quali conseguenze. I documenti parlano, i testimoni raccontano, le prove si raccolgono.
Eppure, chi lavora nei contesti in cui diritto e psicologia si incontrano, sa che accanto alla verità dei fatti esiste un’altra verità, meno evidente ma altrettanto potente: la verità emotiva.
Questa verità, spesso trascurata nei dibattiti pubblici o travisata come “soggettiva”, rappresenta invece una chiave fondamentale per comprendere le dinamiche profonde che si celano dietro ai comportamenti, alle accuse reciproche, alle crisi relazionali e soprattutto alle ferite non visibili. Ma di cosa si tratta, esattamente?
Verità oggettiva e verità soggettiva: due dimensioni del vissuto umano
Nel linguaggio giuridico, la verità si costruisce attraverso la dimostrazione di fatti: si analizzano documenti, si valutano testimonianze, si ricostruisce una cronologia. Questa è la cosiddetta verità oggettiva. È essenziale, perché garantisce la tenuta del sistema giudiziario.
Tuttavia, ogni fatto è anche, per chi lo vive, un evento carico di emozioni, significati, interpretazioni. Una parola detta in un certo tono, uno sguardo evitato, un silenzio prolungato: possono lasciare segni profondi, anche se non “documentabili”. La verità emotiva riguarda esattamente questo: il modo in cui un evento è stato vissuto e interiorizzato da una persona, indipendentemente da come si è svolto secondo i parametri esterni.
Ad esempio: un padre racconta di aver fatto visita alla figlia ogni fine settimana per tre anni, portando regali e partecipando alle sue attività scolastiche. La madre, però, afferma che la figlia “non ha mai sentito davvero la sua presenza”. Chi dice la verità? Entrambi. Il padre descrive un comportamento osservabile; la madre porta alla luce un vissuto emotivo: la sensazione che quella presenza fosse formale, distaccata, priva di reale connessione.
Perché è importante parlare di verità emotiva in ambito forense
Nelle cause di separazione, nelle consulenze tecniche (CTU o CTP), nei procedimenti per l’affido dei minori, la verità emotiva assume un ruolo centrale. Questo perché i vissuti soggettivi influenzano profondamente i comportamenti, le relazioni, le reazioni ai conflitti e, nei casi più complessi, anche la narrazione dei fatti stessi.
Quando un bambino dice di “avere paura” di uno dei genitori, o un adolescente rifiuta di vederlo, la risposta non può limitarsi alla verifica di episodi espliciti di maltrattamento. È necessario esplorare cosa è stato vissuto come pericoloso, in che modo, e perché, anche in assenza di azioni oggettivamente violente.
Un altro esempio frequente: nei contesti di alta conflittualità, un genitore può accusare l’altro di “manipolare” il figlio.
Ma spesso il comportamento del bambino è il risultato di un ambiente relazionale carico di tensione, dove le emozioni degli adulti filtrano ogni esperienza e rendono difficile distinguere ciò che è accaduto da come è stato sentito. In questi casi, ignorare la verità emotiva significa rischiare di non vedere ciò che realmente incide sul benessere del minore.
La verità emotiva nei racconti delle persone
Uno degli aspetti più delicati è che la verità emotiva non è falsificabile, ma nemmeno “più vera” della realtà oggettiva. È semplicemente un'altra forma di verità, che deve essere compresa e contestualizzata. Non può essere smentita con un documento, ma può e deve essere interrogata, analizzata, integrata nel quadro valutativo.
Per esempio, una madre può riferire che il figlio ha “sempre vissuto il padre come freddo e distante”. Il padre può portare messaggi, foto, regali che dimostrano l’impegno affettivo. Ma nessuno dei due ha l’ultima parola.
Il punto è comprendere quale tipo di legame si è costruito tra il padre e il figlio, quale sintonizzazione emotiva era possibile o assente, e come tutto questo ha influenzato la crescita del bambino.
La verità emotiva, in definitiva, non serve per “dare ragione” a una parte, ma per esplorare le dinamiche psicologiche sottostanti. È in questa prospettiva che acquista valore anche per il Giudice, che può così integrare nel proprio giudizio elementi affettivi e relazionali non altrimenti documentabili.
Il ruolo dello psicologo forense: ascoltare, decodificare, restituire
Lo psicologo forense ha una funzione complessa e delicata: non giudica, non prende posizione, non difende, ma raccoglie, analizza e restituisce. Il suo compito è quello di tradurre la verità emotiva in elementi clinicamente rilevanti, che possano aiutare il Tribunale a prendere decisioni più consapevoli e orientate al benessere delle persone coinvolte.
Attraverso l’osservazione, il colloquio, i test, l’analisi sistemica delle relazioni, lo psicologo forense costruisce una mappa del vissuto psicologico, in cui le emozioni, i legami, i traumi, le risorse e le fragilità vengono messi in luce. Non si tratta di “dare ragione” a chi soffre di più, ma di riconoscere il senso di quella sofferenza e comprendere da cosa nasce.
Questo vale anche – e soprattutto – per i minori. Un bambino che si chiude nel silenzio o manifesta disagio durante gli incontri protetti sta esprimendo una verità emotiva che non va né amplificata né ignorata. Va compresa, alla luce della sua storia, delle dinamiche familiari, dei messaggi espliciti e impliciti che riceve.
Verità emotiva e giustizia trasformativa
Integrare la verità emotiva nei procedimenti giudiziari non significa rinunciare alla giustizia, ma ampliare lo sguardo. Significa considerare che le relazioni non si spiegano solo con i fatti, ma con i significati che quei fatti assumono per chi li ha vissuti.
In un’ottica di giustizia trasformativa – che mira non solo a risolvere un conflitto, ma a sanare le ferite e ripristinare relazioni più sane – la verità emotiva è un elemento centrale. È ciò che permette alle persone di sentirsi ascoltate, comprese, viste. E spesso è proprio da lì che inizia la possibilità di un cambiamento.
Conclusioni
Nel linguaggio della psicologia forense, la verità emotiva non è un'opinione, ma una traccia significativa della storia affettiva di una persona. Ignorarla significa ridurre la complessità dell’esperienza umana a una sequenza di eventi. Riconoscerla, invece, permette di costruire valutazioni più profonde, giuste e rispettose.
In Tribunale, i fatti sono fondamentali. Ma senza le emozioni che li attraversano, non raccontano tutta la storia. La verità emotiva non chiede di sostituirsi a quella giuridica, ma di affiancarla. Perché solo integrando entrambe, si può comprendere davvero ciò che accade nelle relazioni e costruire decisioni che tengano conto non solo di cosa è successo, ma di come è stato vissuto.





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