Affidamento condiviso: tra principio di bigenitorialità e complessità relazionale
- PsyLex

- 14 giu
- Tempo di lettura: 4 min

Nel panorama delle separazioni e dei divorzi, uno dei temi più delicati e controversi è rappresentato dalla gestione della responsabilità genitoriale.
A partire dalla riforma introdotta con la Legge 54/2006, l’affidamento condiviso è diventato il modello di riferimento nel diritto di famiglia italiano. Questa forma di affidamento prevede che entrambi i genitori mantengano pari responsabilità nell’educazione, cura e crescita dei figli, anche dopo la cessazione della convivenza.
Ma cosa significa davvero affidamento condiviso?
È sempre la soluzione migliore per il minore?
Quali sono i vantaggi e quali le criticità?
In questo articolo cercheremo di fare chiarezza, esplorando il tema da una prospettiva psicogiuridica e clinica.
Cos’è l’affidamento condiviso?
Con l’espressione affidamento condiviso si intende una forma di gestione congiunta della responsabilità genitoriale, che implica il coinvolgimento di entrambi i genitori nelle decisioni di maggiore importanza per la vita del figlio, quali:
educazione e scelte scolastiche,
salute e cure sanitarie,
orientamento religioso,
scelte relative al tempo libero e alle attività extrascolastiche.
A differenza dell’affidamento esclusivo, in cui solo uno dei due genitori esercita la responsabilità genitoriale in autonomia, l’affidamento condiviso richiede un minimo di cooperazione tra le parti e una disponibilità a mantenere una comunicazione funzionale, seppur minima, nel superiore interesse del minore.
I principi ispiratori
Alla base dell’affidamento condiviso vi è il principio della bigenitorialità, inteso come diritto del minore a conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, anche dopo la separazione. In altre parole, non si tratta di garantire parità formale tra gli adulti, bensì di tutelare il bisogno affettivo ed evolutivo del figlio di poter contare su entrambe le figure genitoriali, in forme e tempi proporzionati alle sue esigenze e al contesto familiare.
I principali vantaggi dell’affidamento condiviso
1. Continuità affettiva ed educativa
Il figlio ha la possibilità di mantenere un legame stabile con entrambi i genitori, senza vivere la separazione come una “perdita” affettiva o una frattura irrimediabile. Questo può ridurre il rischio di sentimenti di abbandono, conflitti di lealtà e idealizzazioni/demonizzazioni di una delle due figure.
2. Corresponsabilità genitoriale
Le decisioni importanti non sono demandate a un solo genitore, ma richiedono confronto e condivisione. Questo favorisce un maggiore senso di responsabilità e può promuovere un approccio più riflessivo e partecipativo all’educazione dei figli.
3. Maggiore equilibrio nella distribuzione dei compiti
In teoria, l’affidamento condiviso dovrebbe favorire una distribuzione più equa dei carichi educativi, logistici e relazionali, evitando che tutto il “peso” ricada su un solo genitore, come accadeva spesso nei modelli tradizionali.
4. Riduzione della conflittualità legale
Quando ben gestito, il modello condiviso può disincentivare le battaglie legali per l'affidamento esclusivo e promuovere una logica di collaborazione piuttosto che di contrapposizione.
5. Tutela del diritto del minore a entrambe le radici familiari
L’affidamento condiviso riconosce il diritto del bambino a crescere con entrambe le “radici”, culturali, affettive e relazionali, derivanti dai due rami familiari, elemento spesso sottovalutato ma cruciale per lo sviluppo dell’identità.
Le principali criticità dell’affidamento condiviso
1. Rischio di applicazione meccanica
In alcuni casi, l’affidamento condiviso viene applicato in automatico, senza una valutazione approfondita delle dinamiche familiari, del livello di conflittualità o delle reali competenze genitoriali. Questo può portare a soluzioni apparentemente eque ma disfunzionali o dannose per il minore.
2. Conflittualità persistente o distruttiva
Quando la coppia genitoriale è caratterizzata da un elevato grado di conflittualità, comunicazione ostile o boicottaggio reciproco, il modello condiviso rischia di tradursi in un conflitto permanente sulle scelte, che sovraccarica il minore e ne mina il benessere psicologico.
3. Falsa simmetria
Non sempre entrambi i genitori sono ugualmente coinvolti, disponibili o capaci di esercitare le funzioni genitoriali in modo responsabile e continuativo. In presenza di disimpegno, passività o delega, si crea una falsa simmetria che carica tutto il peso decisionale su uno solo dei due.
4. Manipolazioni e strumentalizzazioni
In contesti ad alta conflittualità, l’affidamento condiviso può essere utilizzato strumentalmente per esercitare controllo sull’altro genitore, ostacolarne la vita personale o impedire decisioni autonome su aspetti pratici della vita del minore (es. terapie, scuola, attività).
5. Impatto sul minore
Nei casi più gravi, il minore può essere esposto a pressioni, richieste di alleanza, interrogatori o giudizi che lo pongono in una posizione conflittuale tra i genitori, alimentando ansia, senso di colpa e ambivalenza affettiva.
Quando il condiviso non è la scelta migliore?
La giurisprudenza e l’esperienza clinica concordano nel ritenere che l’affidamento condiviso non sia sempre nell’interesse del minore. È controindicato in presenza di:
violenza intrafamiliare (anche se indiretta o assistita);
abuso, trascuratezza grave o incuria da parte di uno dei genitori;
disturbi psichici non compensati che compromettono la funzione genitoriale;
assenza di ogni forma di comunicazione costruttiva tra i genitori;
manipolazione affettiva o presenza di un grave rifiuto non indotto da trauma.
In tali contesti, il tribunale può optare per un affidamento esclusivo, eventualmente accompagnato da visite protette o da un sostegno alla relazione genitoriale. La priorità, in ogni caso, resta la tutela della stabilità, sicurezza e serenità del minore.
La questione dell’affidamento materialmente alternato
Spesso si fa confusione tra affidamento condiviso e residenza alternata (o “collocamento paritario”), che implica una divisione paritetica dei tempi di permanenza del figlio con ciascun genitore. Sebbene sia una delle forme possibili, l’alternanza perfetta non è sempre auspicabile, soprattutto in età evolutive precoci o in contesti di alta conflittualità. Ciò che conta è che il minore abbia riferimenti stabili, prevedibili e coerenti, più che una spartizione millimetrica del tempo.
Conclusioni: un modello da personalizzare
L’affidamento condiviso è, in linea di principio, un modello rispettoso dei diritti del minore e delle esigenze evolutive di continuità affettiva. Tuttavia, per funzionare, richiede condizioni minime di cooperazione tra i genitori, responsabilità condivisa e reale capacità di mettere al centro il figlio e non il conflitto.
La sfida per i professionisti – psicologi forensi, mediatori familiari, giudici e avvocati – è evitare applicazioni rigide e standardizzate, promuovendo invece soluzioni costruite su misura, valutando attentamente:
la storia relazionale della coppia genitoriale,
le competenze educative di ciascun genitore,
il livello di conflittualità attuale,
i bisogni evolutivi e relazionali specifici del minore.
In questo senso, il vero affidamento condiviso non è un’etichetta giuridica, ma una pratica quotidiana di corresponsabilità, rispetto reciproco e tutela del legame affettivo con entrambi i genitori.
Vuoi approfondire?
Se sei un genitore, un professionista o uno studente interessato a questi temi, puoi consultare anche:
“Bigenitorialità e conflitto: una prospettiva psicogiuridica” (R. Gulotta, 2019)
“Il figlio conteso: il punto di vista del minore” (M. Baiamonte, 2021)
Linee guida per l’ascolto del minore in sede civile (CNOP e CSM, 2017)





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